Squilla il telefono.
«Buongiorno. Signor Maretti? Perdoni l’orario, ma non sapevo quale fosse il momento migliore per contattarla. Perciò ho provato. Ha qualche minuto?»
«Sì, posso parlare tranquillamente. Dica pure.»
«Ho avuto il numero da un’amica che lavora in biblioteca. Una biblioteca in cui lei ha recentemente dato vita a un ciclo di narrazioni d’autore.»
«Bene. Come posso aiutarla? E a proposito… con chi sto parlando?»
«Ha ragione, non mi sono presentato. Sono un giornalista. Lavoro per un quotidiano nato da poco ma che – mi sia concesso dirlo con un pizzico di orgoglio – sta rapidamente emergendo all’attenzione del pubblico dei lettori. Anche a livello nazionale, pur avendo avuto origine in una dimensione essenzialmente locale.»
«Capito. E, di grazia, in cosa posso essere utile?»
«Vede, gestisco una rubrica settimanale che si intitola “Vorrei tanto… ma per ora non posso”. In buona sostanza, raccontiamo storie di persone che hanno un sogno nel cassetto – un progetto da realizzare, un incontro a lungo vagheggiato, una decisa svolta nel percorso della vita – e che tuttavia, per svariati motivi, sono costrette a rimandare continuamente la trasformazione di quel sogno in realtà. E nel frattempo vivono un’esistenza in bilico tra frustrazione per ciò che ancora non hanno e parziale appagamento derivante dal pensiero di ciò che un giorno – forse… l’incertezza è d’obbligo! – potranno finalmente dir proprio.
Abbiamo saputo della sua attività di narratore di testi letterari d’autore, e la cosa ci ha abbastanza incuriositi. Prima di tutto perché è una professione a dir poco inconsueta. Guadagnarsi da vivere raccontando storie scritte da altri. E poi perché appare evidente che lei non può avere intenzione di trascorrere l’intera sua vita professionale facendo da tramite tra le opere dei grandi di ogni epoca e nazione e un pubblico – sempre differente, a seconda che si tratti di una classe di alunni in una scuola o di un gruppo decisamente eterogeneo di individui in una biblioteca o in un teatro – un pubblico, dicevo, di persone che hanno voglia di ascoltarla. Insomma, è probabile che si stia preparando a un salto di qualità… Vogliamo chiamarlo così? Magari sta scrivendo un romanzo. Oppure sta frequentando a tempo perso un corso di recitazione che le consentirà – una volta concluso, e non appena qualcuno si accorgerà delle sue qualità – di entrare nel mondo della pubblicità, della televisione, del doppiaggio. I quali – sarà d’accordo con me – garantiscono visibilità molto maggiore e possibilità di crescita infinitamente più ampie. Mi dica, in altre parole, qual è il suo ‘vorrei tanto… ma per ora non posso’.»
«La verità è che faccio questo mestiere non certo per ripiego, e meno che mai in una sorta di parentesi temporale al di là della quale intravedo orizzonti improntati alla gloria, al successo, alla ricchezza o al prestigio. Non ho mai scritto e mai scriverò qualcosa di personale… per la semplice ragione che non ho il talento necessario per farlo. Quanto alla recitazione… Beh, ho sempre pensato che – almeno in certi contesti – l’attore corra il rischio, con la propria tecnica, di ‘rubare’ la scena al personaggio di cui interpreta il ruolo. Chi esce da teatro o dal cinema ricorda più la qualità dell’interpretazione che non l’oggetto della medesima. Questo può funzionare nel mondo dorato del cinema, e forse in quello – ormai, ahimè, assai meno frequentato dal grande pubblico – del teatro… Ma la letteratura! Le storie che stanno nei libri! A me pare che chiunque si ponga come obiettivo quello di raccontarle o leggerle ad altri debba – pur adottando una serie di strategie atte a catturare l’attenzione e a suscitare nell’ascoltatore immagini, stati d’animo, emozioni – debba, dicevo, cercare di mimetizzarsi il più possibile. Debba, cioè, sforzarsi di ‘porgere’ la storia al proprio pubblico, affinché quest’ultimo ne faccia ciò che meglio crede. Se racconto Cirano di Bergerac, devo avere la forza e la padronanza di me necessarie per non sentirmi il protagonista della vicenda; allo stesso tempo devo essere così efficace nel restituirgli vita… da far sì che chi ascolta, se vuole, possa identificarsi nel magnifico cadetto di Guascogna dal naso deforme. Quindi si tratta di due atteggiamenti distinti, non paragonabili. Io non sono attore – e non tralascio mai di dichiararlo, per onestà intellettuale – perché manco degli studi e della tecnica che la professione di attore richiede. Cerco – da vent’anni a questa parte – di definire una figura che si scosta da quella dell’attore o del ‘fine dicitore’: la figura del narratore, che con fedeltà restituisce vita e voce alle grandi storie della letteratura. E così facendo contribuisce a ‘ripopolare’ il nostro mondo – e l’esistenza delle persone, così come la propria – di grandi slanci e di deplorevoli meschinità, di atti di eroismo e di manifestazioni di vigliaccheria, di consapevolezza e abbandono. Tutti quegli elementi, insomma, che danno significato e sapore alle vicende raccontate in fiabe, favole, novelle, romanzi, poemi, tragedie.»
«Capisco, signor Maretti, e garantisco che il suo è un caso più unico che raro. Tra l’altro credo ne uscirà un bell’articolo. Particolare. Però non vorrà negare – questo no, almeno – che recitare o scrivere le garantirebbero un’ascesa assai più rapida. Sia dal punto di vista del guadagno sia sotto il profilo della risonanza mediatica… Insomma, potrebbe ottenere in pochi anni assai più di quanto ha costruito – con merito e professionalità, sì, ma anche con enorme fatica – nei vent’anni trascorsi. E poi, perdoni il carattere diretto della domanda, non si sente un po’ sminuito e umiliato nel raccontare solo ed esclusivamente storie di altri? Anche se si tratta dei grandi autori del passato…»
«Io l’ho sempre considerato un privilegio, pensi un po’! Comunque ho capito cosa vuol sentirsi dire… E infatti ora sono costretto a lasciarla per onorare una serie di impegni cui non posso assolutamente sottrarmi. Entro domani sera devo doppiare Humphrey Bogart in Sabrina, scrivere una nuova versione de Il conte di Montecristo e interpretare il ruolo del protagonista nell’ultima pellicola di Clint Eastwood! Stia bene, mi raccomando, e venga a vedermi al cinema.»